La direttrice migratoria dall’Italia verso l’Australia è caratterizzata da un avvio appena percettibile, alla fine dell’Ottocento, al quale fa seguito un flusso poco rilevante nei decenni successivi che però, nel secondo dopoguerra, muta di colpo trasformandosi in fenomeno molto cospicuo se non proprio di massa.
Ecco la fotografia della presenza di italiani in Australia scattata in momenti diversi: poco meno di quattromila nel 1891; poco più di ottomila nel 1921; ventiseimila e settecento nel 1933.
(1) A questi numeri, che rendono conto di una tendenza crescente anche per l’incidenza, nei primi anni Trenta, dei riflessi della politica migratoria degli Stati Uniti d’America culminata nel meccanismo delle quote, ma che sono in ogni caso, in termini di valori assoluti, piuttosto modesti, fa da contraltare il dato rilevato dal censimento del 1981, che permise di definire la comunità italiana in 603.241 individui, pari al 4,1 % della popolazione australiana, dei quali 282.784 nati in Italia e circa 258.733 e 61.724 italiani rispettivamente di seconda e terza generazione. (2)
Un incremento così ingente della presenza italiana in Australia fu l’effetto della massiccia emigrazione che si ebbe a partire dal secondo dopoguerra e che permise alla popolazione australiana nata in Italia, che nel 1947 ammontava a trentatremilaseicento individui, di crescere fino alle centoventimila e duecentoventottomila unità, rispettivamente nel 1954 e 1961. (3) L’incremento della corrente migratoria scaturì da un incontro di esigenze complementari: da un lato quelle dell’Australia, che dopo la svolta alla politica migratoria verificatasi nel 1947 (che derogava parzialmente la White Australian Policy, tradizionalmente ostile all’immigrazione non anglo – celtica, non di rado anche in maniera persecutoria) aprì le frontiere all’arrivo di lavoratori da tutti i paesi europei; dall’altro quelle dell’Italia, che per sfoltire i ranghi dei disoccupati anche allo scopo di evitare l’acuirsi di tensioni sociali, fece letteralmente ponti d’oro a chi accettasse di lasciare il Paese. Il risultato di tale concordia in materia di movimento internazionale di manodopera fu un accordo di emigrazione assistita, siglato il 29 marzo 1951, che permise e agevolò l’emigrazione di circa quarantaquattromila italiani fino al 1964, anno in cui cessò di essere in vigore. Occorre però dire che l’emigrazione assistita fu solo una parte del più vasto movimento migratorio dall’Italia verso l’Australia, alla quale bisogna aggiungere l’emigrazione libera, o spontanea, o privata, che nello stesso periodo coinvolse circa duecentottantamila italiani. (4)
Il movimento migratorio dal Friuli Venezia Giulia si confonde nel fenomeno nazionale fino a dopo la seconda guerra mondiale quando, a seguito delle vicissitudini e modifiche territoriali del confine orientale, assume una sua fisionomia, che è peculiare rispetto al resto d’Italia, ma anche differenziata nelle sue stesse componenti. Differenziata al punto che non pare esagerato usare il numero plurale e parlare di emigrazioni dal Friuli Venezia Giulia verso l’Australia nel secondo dopoguerra, distinguendo tre tipologie: quella degli istriani, fiumani e dalmati; quella dei triestini (e, in misura meno rilevante, dei goriziani); quella dei friulani.
Il presente contributo si snoderà nelle pagine che seguono nel tentativo di rendere conto di tale complessità. Dopo un inizio in cui si porteranno alla luce le tracce lasciate da friulani e da giuliani, istriani, fiumani e dalmati, (5) dalle origini dell’emigrazione italiana in Australia fino al secondo conflitto mondiale, si tenterà di qualificare e quantificare quelle che sono state definite le emigrazioni dal Friuli Venezia Giulia verso il Continente Nuovissimo, cercando anche di rendere conto della classi di motivazioni che in ciascuna di esse hanno influenzato la spinta ad emigrare.
In merito alla fase dell’esperienza migratoria successiva alla scelta di andare e alla partenza, ovvero all’impatto e alla sistemazione nel paese di destinazione, si cercherà di restituire in forma sintetica i momenti iniziali della storia dei friulani e dei giuliano dalmati agli antipodi, utilizzando modelli o paradigmi interpretativi desunti dalle testimonianze dei protagonisti stessi. Infine si concluderà con alcune osservazioni relative alle dinamiche migratorie dagli anni Sessanta ad oggi, con accenni ai rientri, sia prima che dopo il verificarsi del fenomeno noto come inversione del saldo migratorio, che nel Friuli Venezia Giulia si presenta nel 1967, in anticipo rispetto alla media nazionale.
Francesco Fait